Sunday 20 September 2009

l'angelo tremendo

Io credo che tu troppo nettamente distingua ciò che è religione e ciò che non lo è. In ciò a cui diamo o un tempo davamo il nome di Dio, o nell’esperienza religiosa, c’è anche molto altro, e questo molto altro non sono tutte incrostazioni di autoaffermazione - e lo sai perfettamente anche tu: c’è l’amore, innanzitutto, ogni genere di amore (come dice Bergman); ci sono la pienezza e la lode, la gratitudine per i passeri arruffati che ti si posano sul davanzale; c’è l’esperienza di essere parte del tutto, non veramente distinto dagli altri esseri e dalle altre cose - eppure diverso; c’è la compassione, come naturale conseguenza del vivere e soffrire quello che vivono e soffrono le altre parti del tutto.
C’è tutto questo, e anche la mancanza: l’irraggiungibile lontananza di ciò che suscita amore in noi, la tensione, la nostalgia, il bisogno senza oggetto. C’è la forza imperiosa che ci aggioga al difficile …
E poi c’è il disagio, il dolore, la ribellione - e magari anche il bisogno, se vuoi, di qualcuno a cui chiedere conto del male e della morte.

Ci sono tutte queste cose, io credo, e di sicuro anche tante altre a cui non ho pensato. Tutto questo può essere detto, raccontato, in molti modi. Anzi, non può essere detto che in molti modi diversi, con molti diversi argomenti, racconti, immagini, suoni (e di conseguenza io non disprezzo la propensione al fantastico, e anzi trovo che qui a volte i racconti non siano meno razionali dei testi filosofici, e viceversa).

Allora, forse quello che conta è cosa puoi dire o non dire in un certo modo, o a partire da certe premesse; che contesto viene creato da un certo discorso religioso, e quali sono le sue conseguenze - comprese le conseguenze etiche e quello che esso fa alle persone.

Infine, non capisco cosa intendi per religione secolarizzata (ed è un’espressione che non mi entusiasma) ma come puoi immaginare per me la più razionale delle religioni è lo spinozismo. Eppure: nella totale immanenza del dio di Spinoza, già tutto presente e che si esprime in ciascun singolo essere, non è possibile parlare della mancanza e della nostalgia (c’è, in fondo, un ottimismo non dissimile da quello che Capitini imputava al fascismo). Così Spinoza esprime in un discorso estremamente razionale la comunanza del tutto, la presenza di dio in interiore homine, e la forza creativa che è in tutto questo. Eppure non basta, o non basta a me: non mi aiuta a trovare i concetti, le parole, foss’anche le immagini per dire e comprendere il resto.

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